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Rappresentazione visiva dell'articolo: Contro l’illusione del controllo: la vera libertà è nella pianificazione finanziaria

Ci sono mattine in cui il piano fila via liscio. E poi ce ne sono altre — più frequenti — in cui la vita fa di testa sua. La sveglia non suona, tuo figlio ha la febbre, i mercati aprono in rosso e il cliente ti scrive nel panico: "Marco, vendiamo tutto?"

Benvenuto nel regno dell’incertezza, dove nessun piano — per quanto raffinato — è mai al riparo dal mondo reale. Ma è proprio qui che si gioca la partita del mio mestiere: non nel promettere il controllo, ma nel restituire libertà.

L’ossessione di "fare qualcosa"

L’uomo, si sa, non tollera l’inattività. Quando i mercati oscillano, l’istinto suggerisce che muoversi equivalga a proteggersi. È il famoso bias cognitivo descritto da Ellen Langer: l’illusione del controllo. Spostare denaro, cambiare fondo, inseguire il prossimo trend. Tutto pur di non sentirsi inermi.

Ma i dati raccontano un’altra storia. Bastano pochi giorni fuori dal mercato per compromettere anni di performance. Quei famosi dieci giorni migliori che capitano, guarda caso, nei momenti peggiori. Quando la paura fa scattare la fuga e il cliente pensa di salvarsi… mentre si sta tagliando le gambe da solo.

La trappola del "piano perfetto"

Anche nel lato opposto — quello più razionale — si nasconde una trappola sottile: l’attaccamento morboso al "piano ideale". Quello costruito nei dettagli, con obiettivi precisi, curve di crescita e rendimenti attesi. Ma quando qualcosa cambia — nella vita o nei mercati — il cliente fatica a rivedere la rotta.

Kahneman la chiama effetto dotazione: tendiamo ad attribuire più valore a ciò che abbiamo già immaginato o posseduto, anche solo mentalmente. E così, se l’obiettivo di andare in pensione a 65 anni diventa improvvisamente irrealistico, il cliente lo vive come una perdita, un fallimento.

Qui entra in gioco il mio ruolo.

Dalla rigidità alla flessibilità: un nuovo equilibrio

Non lavoro con i miei clienti per scolpire piani nella pietra, ma per disegnarli a mano libera, insieme. E quando serve, per ridisegnarli nuovamente da capo.

Ogni progetto patrimoniale dovrebbe partire non da un numero, ma da un valore profondo: libertà, sicurezza, significato. Se so che il tuo sogno non è "andare in pensione a 65 anni", ma avere tempo per tua moglie e per scrivere un libro, allora so anche come trasformare un imprevisto in una deviazione utile. E so che un piano rivisto può condurre a una meta ancora più autentica.

Protocollo, non panico

Questo non significa stare immobili. Significa avere un protocollo. Significa sapere quando agire, come farlo e soprattutto perché. Piano di accumulo, ribilanciamenti periodici, soglie predefinite. Non reazioni emotive, ma azioni misurate.

Ogni volta che il cliente mi guarda negli occhi e chiede "che si fa adesso?", io non rispondo con una previsione. Rispondo con un principio. Gli ricordo che la vera forma di controllo non è sull’andamento del Nasdaq, ma sulla coerenza con sé stesso.

Il mio lavoro non è rassicurare il cliente. È educarlo finanziariamente

Non vendo certezze. Il mio obiettivo è costruire fiducia. E la fiducia, quella vera, non ha bisogno di previsioni esatte, ma di una direzione chiara e condivisa.

L’illusione del controllo è un riflesso umano, comprensibile. Ma il mio compito è aiutare chi mi affida il suo futuro finanziario e patrimoniale a vivere questa incertezza con equilibrio. A convivere con l’ignoto, senza farsi dominare dalla paura.

Perché in fondo, come diceva Charles Snyder, la speranza nasce non dalla perfezione del piano, ma dalla capacità di riorientarsi con grazia. E magari, lungo la strada, scoprire che l’imprevisto ci ha portati esattamente dove volevamo andare. Anche se non lo sapevamo ancora.

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