La finanza sostenibile non è più una nicchia per idealisti. Fondi ed ETF legati a criteri ESG (Environmental, Social, Governance) sono diventati protagonisti dei mercati globali, intercettando una crescente domanda da parte degli investitori: coniugare rendimento e responsabilità.
L’offerta, di conseguenza, si è moltiplicata. Gli strumenti ESG oggi non rappresentano un fenomeno di moda, ma una tendenza strutturale destinata a ridefinire il modo in cui il capitale viene allocato.
Una questione di numeri
Secondo Morningstar, nel terzo trimestre del 2024 i fondi sostenibili hanno raggiunto 3,3 trilioni di dollari a livello globale. L’Europa guida il movimento: l’84% di questi capitali è allocato nel Vecchio Continente, dove i fondi classificati come Articolo 8 e Articolo 9 secondo la normativa UE rappresentano già oltre il 60% del mercato.
Non è solo un fatto culturale – maggiore sensibilità dei cittadini europei ai temi ambientali e sociali – ma anche un’opportunità concreta: molte aziende europee sono leader mondiali nelle pratiche ESG, creando un terreno fertile per chi investe.
Rendimenti: mito o realtà?
La domanda cruciale rimane: sostenibilità significa sacrificare rendimento?
La risposta, dati alla mano, è no.
Uno studio Morningstar del 2023, basato su oltre 8.000 fondi europei (di cui 2.000 ESG), ha mostrato che nel medio e lungo termine i fondi sostenibili non solo non penalizzano la performance, ma in molti casi superano i concorrenti tradizionali.
A 3, 5 e 10 anni, il fondo ESG medio ha battuto il corrispondente tradizionale.
Nel breve termine, tuttavia, la volatilità può giocare a sfavore: nel 2022 – anno segnato da crisi energetica e crolli di mercato – solo 4 fondi ESG su 10 hanno sovraperformato.
Un quadro simile emerge anche dal report ESMA Costs and Performance of EU Retail Investment Products 2023: nel 2022 i fondi ESG hanno sofferto più degli equivalenti non-ESG, ma sul triennio sono risultati vincenti.
Cosa significa per l’investitore?
Tre riflessioni chiave:
Il breve termine può ingannare. Settori esclusi dagli ESG, come l’energia tradizionale, possono vivere picchi di performance legati alla volatilità delle materie prime. Nel medio e lungo termine, però, i fondi ESG hanno dimostrato resilienza.
La sostenibilità è anche gestione del rischio. Le aziende ESG tendono a essere più solide, più attente alla compliance normativa e più orientate all’innovazione. Questo le rende meglio posizionate per affrontare shock di mercato e cambiamenti regolamentari.
Il mercato sta spingendo in questa direzione. La raccolta record, la pressione normativa e l’interesse crescente degli investitori indicano che la sostenibilità non è un vezzo, ma un fattore strutturale.
Attenzione al greenwashing
Non bisogna però essere ingenui: non tutto ciò che brilla è oro. Il rischio di “sostenibilità di facciata” esiste e persiste. Qui entra in gioco il ruolo di una consulenza attenta, capace di distinguere tra marketing e sostanza, selezionando solo strumenti coerenti e trasparenti.
Conclusione
Il tempo delle mode è finito: ESG e rendimento non sono più mondi inconciliabili. Anzi, oggi rappresentano una combinazione che, se gestita con competenza e disciplina, può offrire valore reale e prospettive concrete.
La sostenibilità, in finanza, non è un atto di beneficenza: è una strategia d’investimento.